Dal testo Experiencing architecture di Rasmussen a Questions of perception di Holl, Pallasmaa e Pérez-Gomez, fino al recente libro di Mallgrave From Object to experience, la condizione empatica e affettiva è divenuta sempre più centrale nella riflessione sull’architettura. Il saggio ripercorre alcuni momenti salienti dello sviluppo dell’empatia nella critica estetica e nella filosofia fenomenologica, sottolineando i fattori culturali e scientifici che hanno recentemente contribuito a ciò che è stato definito emotional turn. Particolare evidenza viene data agli sviluppi, dagli anni’80 in poi, dell’embodied cognition e al modello percettivo dell’embodied simulation che, a seguito della scoperta dei mirron neurons, può costituire oggi la base funzionale dell’empatia: quell’affective empathy alla quale dobbiamo, tuttavia, affiancare una reconstructive empathy, che, partendo dai vissuti del percipiente, richiede attenzione, immaginazione e memoria. In questa convergenza fra scienze della natura (con particolare attenzione alle scienze cognitive e alle neuroscienze) e scienze umane, l’architettura può riguadagnare una dimensione – di tradizione fenomenologica – legata al corpo-vivo, in cui la riscoperta dell’empatia diviene possibilità di declinare una comprensione dello spazio (tanto nell’uso, quanto nel progetto) che ha nel sentire e nell’agire umano il suo fulcro.